Page 146 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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Caietanus443 un volume che, peraltro, non è menzionato nel pur lungo elenco di opere in possesso del rettore di S. Cristina al momento della sua morte.
Una definizione, quella di duellum, per certi versi forse più complessa di quella di rixa. Infatti, ebbe modo di spiegare ai suoi allievi Francesco, “...Quatuor partes habet hac definitio”: la prima (“Bellum”) “...idest pugna, et pro hoc convenit duellum cum bello quod geritur inter Respublicas et Principes”. Una caratterizzazione inconsueta, quest’ultima; ma vediamo il seguito delle parti analizzate dal nostro docente: la seconda infatti (“inter privatas personas”) si concretizza in quanto “propter hanc particulam convenit duellum cum rixa et differit a bello”.
Terza differenza: (“ab utraque parte sponte susceptum”) poiché per “...hanc particulam differt duellum a rixa: quae non ex conditio suscipitur, sed unus est aggressor et aliter aggressus”: dunque la singolarità delle parti in causa, uno contro uno. Quarto punto è invece quello (“...sive rationabili causa”) per cui “...ut excludatur illud duellum quod cum suscipiatur ad evitandum injustam mortem certo imminentem, impropriae dicitur duellum. Quae autem et quot sint irrationabiles causae duelli constabit et dicendis”.
Ma... concludendo “An duellum sit illicitum et peccatum”? Quagliotti risponde secondo la dottrina del de Vio: “Duellum, ex genere suo non esse injustum, ut mendacium et alioquin in nullo casu liceret suscipi duellum” tuttavia... talvolta “...liceat duellum, et quando non”. Se dunque il duello non è del tutto ingiusto, può però esserlo in qualche caso. Quagliotti distingue allora due tipologie di situazioni: nella prima si insinua il tipico problema della “valentia”, dell’esuberanza e del coraggio da far valere secondo un’immemorabile, umano “iure naturae”, cui si intreccia una causa “rationabilis et idonea”, pertanto una ragione sufficiente per battersi.
In ogni altro caso (seconda parte della spiegazione) “...illicitum est duellum”. Ma allora, quali erano le cause giuste per le quali poteva essere lecito scontrarsi in duello? Qui sorgevano le prime “difficultates” e Quagliotti non esitava a ricorrere ad un termine – ‘prassi’ – che poteva riuscire a tacitare eventuali obiezioni: era infatti necessario, suggeriva, seguire “regulas pro praxi et casibus particularibus”.
Qualcuno tra i più solerti (e irrequieti) chierici avrà alzato la mano: ma quali dunque i casi particolari? Ad esempio, rispondeva Quagliotti, quando un innocente era vessato e portato in giudizio con frode: se la vittima fosse ricorsa al duello per rovesciare una situazione ingiusta a suo danno, in questo caso avrebbe senz’altro potuto.
Un secondo caso, per molti aspetti già ben noto al mondo cavalleresco medioevale e rinascimentale ed auspicato anche, sia pure per mera utopia, dalla trattatistica aristocratica e militare del Cinque e del Seicento, era quello del duello tra i soli comandanti militari di due eserciti contrapposti. Un ennesimo esempio di positiva valutazione del duello vedeva, nelle lezioni del Collegio di S. Cristina, un
443 T. de Vio [Caietanus], Commentaria in secunda secundae S. Thomae Aquinatis, solitamente citato allora nell’edizione più nota, quella romana, apud Iulium Accoltum del 1570. Il famoso padre domenicano, nato a Gaeta nel 1468 e morto a Roma, cardinale e teologo di gran fama, nel 1534, aveva in quell’opera commentato la seconda sezione della seconda parte della Summa di s. Tommaso.



























































































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