Page 147 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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innocente che, vergognosamente condannato da giudici iniqui, avrebbe potuto affrancarsi da una pena immeritata e infamante battendosi a duello.
Così sviluppato, l’argomento non poteva non interessare i chierici studenti di S. Cristina. Qualcuno di loro, l’abbiamo visto, non disdegnava di cingere la spada e di partecipare, in vacanza o all’insaputa dei Superiori, ad allegri festini notturni. Ecco allora un’altra domanda, ancora più insidiosa, per il teologo Quagliotti: in quali casi, quantunque ingiustamente e senza ragionevole motivo, era lecito potersi battere? “In quibus casibus injuste et sine rationabili causa, suscipiatur duellum”?
Quagliotti, probabilmente a denti stretti ma con grande freddezza e professionalità, di cause ne individuava ben sette! Le prime tre sono di assoluto rilievo e sono assai eloquenti della temperie giuridica, sociale, civile e morale di quei tempi: I) quando, senza altra via d’uscita e al solo scopo di conservare la propria vita, non vi sia altra possibilità che il duello (ancorché non fosse lecito quale semplice “praetextum” ma solo per causa conclamata e da cui derivasse pericolo imminente); II) per difendere il proprio onore; III) qualora non vi sia altro da fare per concludere una causa giudiziaria civile o criminale. Inutile, forse, sottolineare come l’onore fosse tra le cause principali di quegli scontri e come fosse tra i valori da salvaguardare senza badare ai mezzi, alle forme, alle modalità con cui si intendeva, si doveva difendere.
La quarta ragione era – ed è – già più opinabile e di difficilissima valutazione pratica: “ad vindicandam injuriam”; la quinta non poteva mancare di suscitare qualche più che lecito dubbio, poiché si fondava sulla “ostentationem virium”, come anche la sesta, che si valeva del proprio diritto “ad manifestandam veritatem”; la settima è poco meno che incomprensibile: “ad spectaculum et voluptatem capiendam”444.
Quagliotti, per rispondere al quesito successivo, quello sulle pene previste, si rifaceva in primis, tra le molte auctoritates citate445 tra giurisprudenza e teologia, ai dettami del concilio tridentino, che nel capitolo XIX della XXV sessione prevedeva per tutti i favoreggiatori (anche i grandi della terra, imperatori, re, duchi ecc.) del duello, la pena della scomunica446. Alla stessa pena soggiacevano i duellanti, i loro padrini nella vertenza cavalleresca, gli spettatori dello scontro. Non potevano essere escluse inoltre, sia pure se valutabili caso per caso, pene corporali oltre che pecuniarie e d’immagine.
Naturalmente Quagliotti nelle sue lezioni non avrebbe potuto non trattare degli ancor peggiori peccati contro la fede e la religione cattolica. Erano, quelli, anni nei quali i casi di abiura o di rinnegamento della propria fede non soltanto non erano
444 Alla trattazione della rissa e del duello, il metodico docente di casistica e rettore di S. Cristina faceva seguire quella della “Seditione” - una variante su tema che Quagliotti affrontò con la stessa attenzione e con uguali modalità esplicative – e quella sul tema egualmente significativo e allora vivissimo dello “Scandalo”.
445 Quelle cronologicamente più vicine alle lezioni di Quagliotti erano certamente tre bolle papali, rispettivamente riferite a Pio IV, a Gregorio XIII e a Clemente VIII. Significativa, in questo senso, l’inusuale abbondanza di fonti impiegata da Quagliotti, unica tra i vari argomenti oggetto delle sue trattazioni agli studenti.
446 Conciliorum Oecumenicorum decreta cit., p. 795.


























































































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