Page 140 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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sconosciuti. Anzi, proprio la militanza di non pochi signori locali negli eserciti e sulle galere “contra Turchos” e a difesa di Malta faceva sì che l’argomento analizzato dal docente di casistica fosse più che mai sentito e attuale: la “dubitatio ultima” era infatti “An christianus princeps possit convocare infideles in subsidium iusti belli”?
Avrebbe potuto dunque, un principe cristiano, convocare degli infedeli in proprio ausilio per una guerra ‘giusta’? Il riferimento, del tutto palese - ancorché tra le righe - negli scritti del teologo galliatese, era alle mene dei re Cristianissimi che proprio in quegli anni si erano febbrilmente attivati per destabilizzare sia la complessa politica di alleanze spagnole e italiane, sia per mutare la dislocazione e la consistenza degli ancora formidabili tercios di fanteria e degli squadroni di cavalleria spagnoli stanziati su vari fronti.
Parigi aveva preso da tempo accordi dapprima segreti e via via palesi435 con gli Ottomani per destabilizzare la situazione politica nell’Europa centrale, ai confini dell’impero asburgico, nelle poco difese terre d’Ungheria, in Slavonia, in Transilvania e sul mare favorendo le devastanti scorrerie dei pirati turchi e barbareschi lungo le coste mediterranee di Spagna e Italia.
A tutti poi, ai cittadini, ai nobili, ai contadini erano tristemente note alcune tra le più tragiche eventualità della guerra di quel tempo: con l’arrivo del nemico (e non di rado anche di truppe ‘amiche’, alleate), specie dopo mesi di patimenti, le milizie non esitavano a saccheggiare borghi e città, a bruciare campagne e villaggi. Quagliotti non mancò di riflettere anche su quest’ultima e, purtroppo, non insolita, drammatica eventualità nel capitolo che, sempre nel più vasto discorso sulla guerra, approfondiva la bellicosa consuetudine della “expoliatione”.
Si chiedeva infatti in apertura: “Licitum ne est expoliari innocentes”? La durezza dei tempi e delle modalità guerresche, soprattutto in occasione di attività ossidionali che per mesi e mesi vedevano impegnati soldati e cavalieri spesso di nazioni e paesi lontani, mal pagati, affamati, violenti, spesso aveva la meglio.
Le armate che occupavano il territorio del nemico erano difficilmente consenzienti a sottoporsi, specie se infine vittoriose, a quelle pur severe norme disciplinari che prevedevano comportamenti non violenti nei confronti di quelle popolazioni che Quagliotti definisce genericamente quali “innocentes”.
La casistica prevedeva, alla domanda sulla liceità del saccheggio, dell’“expoliatione”, una raggelante risposta positiva. Insomma, era consentito porre a sacco? “Affirmative” ammetteva il rettore di S. Cristina: per la precisione – puntualizzava – “...licitum esse expoliari” ma non “...esse licitum illos occidere” perché in quei sia pur tragici frangenti, quando all’arrivo della truppaglia abbrutita
435 Ai quali non mancava di contribuire la politica interna ed estera della Serenissima che, come già si è avuto modo di sottolineare, operava attivamente in senso apertamente filofrancese e dichiaratamente antispagnolo, cui si aggiungeva una vigorosa reazione alle “ingerenze” della Corte di Roma nella politica europea e veneziana in particolare; una politica, questa, con un occhio sempre attento alle novità venute man mano emergendo nel panorama dell’ormai diffuso e ben organizzato dissenso religioso del centro e nord Europa: si veda, nella ricca messe di studi in merito, il saggio di G. Pizzorusso, Reti informative e strategie poltiche tra la Francia e le missioni cattoliche nell’impero ottomano agli inizi del XVII secolo, in I Turchi, il Mediterraneo e l’Europa, a c. di G. Motta, Milano 1998, p. 212 ss., in cui si sottolinea come in ogni caso l’attività contro l’espansionismo turco fosse comunque soggetta alla “...congiuntura internazionale” per cui divenne necessario, specie per la Corte di Roma, “...interagire con la politica degli Stati” (ivi, p. 231).