Page 139 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
P. 139
“Quo tempore possit bellum gere”? Quagliotti, stando alla sua preparazione rispondeva sicuro: “dubitum esse potest de diebus festivis... de tempore adventus et Quadragesimae”. La vittoria conseguita in giorno festivo sarebbe stata valida: “licet bellare in die festo”? Nell’incertezza, essendo per le Scritture lecito “laborare piscando” sarebbe stato utile valutare con attenzione l’“opportunitas”, l’occasione del momento. Un punto, questo, sorprendentemente a favore non solo di una sottintesa, ovvia, imprescindibile lungimiranza politica e tattico-strategica, ma anche della ben più semplice e cieca ‘fortuna’.
Un ulteriore “dubitatio” era tuttavia da vagliare: “An clerici licite possint pugnare”? In altre parole: possono i chierici combattere? Qui la cautela era d’obbligo: “In hac dubitatione considerabimus: primo, quae sunt certae; 2. quae sunt incertae et controversiae”. Sarebbe infatti stato meglio sapere con certezza quali fossero le cause certe, incerte o comunque controverse all’origine del conflitto.
Quagliotti stigmatizzava affermando: “...dico pro ut clerici in sacris ordinibus constituti, et quicumque monachus etiam laicus iure ecclesiastico prohibentur”. Ma allora, ci si chiedeva, quale pena – e non dovevano mancare – per coloro che avessero contravvenuto a tale proibizione? Il tono è senza tentennamenti: “Privantur esecutione ordinum”. E se fossero stati proprio degli ecclesiastici a perire in guerra? “Si fuerint mortui in bello, etiam suffragiis orationum privantur”.
D’altra parte però, sarebbe stato allora il caso di prevedere la nient’affatto improbabile evenienza che taluni religiosi, indifferentemente appartenenti al clero secolare o regolare potessero combattere previa licenza del sommo Pontefice: cioè “Si posse monachus et clericos in sacris pugnare ex licentia Summi Pontificis”. Non si deve infatti dimenticare che nel lungo secolo diciassettesimo si videro numerosi casi di religiosi434, specie poi se di rango aristocratico, combattere nelle prime file degli eserciti di Francia, di Spagna e dell’Impero.
L’acume del rettore di S. Cristina, cui si aggiungeva la realistica visione del panorama politico a lui attuale non era tuttavia limitato a una casistica geograficamente ristretta: della guerra, specie se al Turco, agli infedeli, si doveva certamente discutere nei più varii ambiti e a tutti i livelli sociali. Si è già accennato al fatto che nel Novarese i combattimenti contra infideles erano tutt’altro che
434 E’ il caso di non pochi esponenti di casate nobiliare italiane, spagnole e francesi e non va dimenticato il ruolo di appartenenti ad Ordini religioso-cavallereschi. Per non dire poi, più specificamente dei casi eclatanti quali furono quelli, ad esempio, di Ferdinando d’Asburgo, Infante di spagna, cardinale di S.R.C., ma anche governatore di Milano e tra i principali comandanti delle truppe ispano-imperiali, che seppe ccondurre alla vittoria nella celeberrima battaglia di Nordlingen il 5-6 settembre 1634. E i casi si potrebbero facilmente moltiplicare parlando della corona di Francia sotto Luigi XIII e Luigi XIV: basterà rammentare i casi di figure come il cardinale François de Lorraine che alla fine, dopo molte campagne militari, abbandonò l’abitò ecclesiastico nel 1641; come Louis de la Valette, arcivescovo di Tolosa e fedele condottiero agli ordini del cardinale de Richelieu anch’egli, peraltro, ritratto ad un tempo in armatura e porpora cardinalizia; oppure come Henry d’Escoubleau de Sourdis, arcivescovo di Bordeaux, che combatté per lungo tempo durante la Guerra dei Trent’anni. Un cenno merita anche Jean-Françis-Paul de Gondi, cardinale di Retz: destinato alla carriera ecclesiastica e, contemporaneamente, creato cavaliere di Malta, non solo combatté da religioso per l’Ordine ma partecipò alla cosiddetta Fronda dei principi contro il potere del cardinale Mazzarino ponendosi, per questo, contro l’autorità regia dell’ancor giovanissimo Luigi XIV, allora minorenne. Dopo numerosi scontri armati venne arrestato, tradotto a Vincennes da cui, dopo due anni, riuscì ad evadere. Riappacificatosi con il re e la corte, venne impiegato dal Re Sole in numerose missioni diplomatiche a Roma. E in Italia? Basterà qui ricordare uno dei casi più significativi, quello del cardinale Maurizio di Savoia, politicamente e militarmente impegnato per l’esercizio del potere nel vasto ducato sabaudo negli anni successivi alla morte di Carlo Emanuele I.