Page 122 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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cortese della prosa usata nella lunga missiva, se non manca di porre nel dovuto rilievo l’innegabile “divotione” del curato di S. Cristina facendo intuire un Florio, un sacerdote “...huomo di buona vitta et essempio nel lavorare per le anime”, non si sottrae neppure a ridimensionarne il valore.
Il rettore del Collegio non mancava infatti di sottolineare come tutto questo, cioè il comportamento affabile del canonico borgomanerese, si dovesse principalmente e sostanzialmente “...all’essempio di quei che ritornano da V.R. tutti mutati”. Permaneva pertanto, nell’animo dell’acuto rettore di S. Cristina, un’incertezza di fondo sull’ambiguo curato e gli pareva necessario quindi far percepire all’amico gesuita i suoi legittimi dubbi in merito al comportamento del Florio.
Dubbi che derivavano, secondo Francesco, da inevitabili interrogativi riguardo ai tanti, troppi “disgusti” fin allora sopportati dal sacerdote borgomanerese, e che lo portavano a considerare, non senza qualche preoccupazione: “...Piaccia al Signore che tenga questo huomo in questi buoni proponimenti”.
D’altra parte, scriveva Quagliotti, tutto questo “...molto mi preme perché adesso nel governar questo luogo non posso havere altro incontro (cosa che non sarà) che dal Curato” mentre, per contro, il teologo del Collegio era certo che questa situazione “...non piace a Monsignore R.mo, il quale...” continuava allora palesemente sollevato nel tono “...ha dato ordine al S.r Dolce che venendo qua a S. Christina li leva [al Florio] questa facultà, et il tutto si faccia con il consenso del rettore del Collegio” e questo perché “...vuole, il Superiore nostro, che la chiesa et il Collegio sia una stessa cosa” in modo che – proseguiva convintissimo il Quagliotti – lui stesso, il rettore dunque, potesse finalmente “...governare senza disgusto di questo S.r Curato”.
Quagliotti medesimo suggeriva altresì nella lettera come e quando agire nei confronti del Florio: infatti soggiungeva: “...che si può fare” qualora il Florio “...venisse a far li essecitij avanti la festa di s. Christina, et in tal buona dispositione ne lo amicasse persuadendolo a mettersi nelle mie mani”.
Il progetto non doveva sembrare irrealizzabile, suggeriva il Galliatese, perché Florio “...è cosa che farà facilmente anch’esso come fece il S.r Gio. Batt.a [Cattaneo]” tanto più, proseguiva Francesco “...che io andarò sempre con le buone, lo riverirò, et etiam che toccasse a me reggere la chiesa, come vuole il Vescovo, esso farò che sia come padrone” e se per caso il Florio avesse dovuto intervenire “...et nella chiesa et nella casa” lo potrà anche fare, certo eventualmente, ma “...senza notabil pregiudicio delle nostre regole [...] et [...] come comporta il bene di questo Collegio”394.
E’ dell’agosto invece la sia pur succinta “Relatione dell’essame” del rettore di S. Cristina con la quale oltre a comunicare ufficialmente a monsignor illiustrissimo Bacapè che “...In essecutione della lettera di V.S. R.ma delli 3 di maggio ho procurato dalle terre circumvicine qualche elemosina per seguitare la fabrica, come
394 AONo, cart. 2, 26 giugno 1614, lettera di Quagliotti a padre Melzi.