Page 121 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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essersi agravato più si è poi palesata, tuttavia so che V.S. havrà con la sua solita diligentia et amore che porta a quel Collegio, ad ogni suo potere procurato l’utile di esso, come ne informai Mons.r R.mo”392; il sottile, dissimulato riferimento al ‘procurare l’utile’ del Collegio si commenta da sé.
Tra gli affanni per “...governare senza disgusto di questo S.r Curato”
Passiamo ora agli ulteriori screzi che, definibili oggi dal duplice punto di vista gestionale e dell’immagine pubblica, una volta acuitisi avevano incrinato ancora di più i rapporti tra Quagliotti e il canonico Florio.
Tali dissidi, dei quali non siamo perfettamente a conoscenza e che erano maturati nell’ambito dei non facili rapporti tra il Collegio di S. Cristina e la Collegiata di S. Bartolomeo di Borgomanero, quasi certamente si erano inaspriti tra maggio e giugno del 1614 determinando infine un amareggiato monsignor Bascapè ad agire con risolutezza e senza mezzi termini nei confronti dell’inquieto canonico Florio. Aveva infatti ordinato al Dolci, rettore del Seminario diocesano, di estromettere don Gaspare dal controllo della cura di S. Cristina: curazia e rettorato sarebbero passati da quel momento nelle mani di Francesco Quagliotti che li avrebbe amministrati rispondendone direttamente alla diocesi.
Questa drastica decisione – resa certo possibile grazie anche e soprattutto alle informazioni ricevute dal pievano di Suno che era stato appositamente incaricato di ragguagliare il presule in merito alla scottante questione – se non ha lasciato alcuna chiara e precisa traccia documentaria ha tuttavia lasciato qua e là almeno una certa e più rarefatta eco nel materiale d’archivio rimastoci. Quagliotti scrisse infatti a padre Melzi il 26 giugno confessandosi spiacentissimo per la sgradevole piega presa dagli avvenimenti: il riferimento è senza alcun dubbio ai provvedimenti presi dal vescovo nei confronti del canonico Florio.
L’occasione per un almeno parziale ripensamento pare sia giunta a Francesco dopo una visita di cortesia alla Collegiata di Borgomanero allo scopo di far pervenire al Florio i saluti del gesuita aronese393: da quell’incontro Francesco tornò, come le carte lasciano intuire, abbastanza rinfrancato. E dalle prime righe della lunga lettera pare proprio così: affermava infatti in apertura che fu “...volontà di Dio” il suo contatto con il Florio grazie all’iniziativa di padre Melzi.
Raccontava infatti Francesco all’amico Melzi che il Florio “...venne a Casa tanto affettionato alla sua cortesia et dolcezza di carattere” e che il curato “...voluntieri si metterebbe nelle sue mani” Sembra tuttavia doveroso rimarcare qui, nelle diplomatiche parole del Quagliotti, quello che il lettore non può non percepire: l’uso abbondante del condizionale e il generale tono dubitativo; la forma freddamente
392 AONo, cart. 3, 6 giugno 1614.
393 AONo, cart. 4, 7 giugno 1614. In questa lettera, a noi già nota, il gesuita accennava poi, sempre misurando le parole e senza concedere nulla, purtroppo, alla curiosità degli storici, al fatto che Francesco avrebbe potuto star tranquillo riguardo a una non meglio precisata situazione attuale: “...Lei poi facci buon animo che N.S. l’ajuterà a condurre a buon fine l’impresa cominciata del divino servitio e sebbene verrà qualche contrasto non se ne curi, che N.S. ne caverà bene”: un ennesimo riferimento ai “disegni” futuri del Quagliotti?