Page 114 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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volta e, per altre ragioni, piuttosto seccamente – a suo cugino Giovanni Gambaro dandogli un saggio, dopo la sua mancata promozione al suddiaconato358 e a seguito delle inopportune se non scortesi richieste359 di quest’ultimo circa una sua eventuale permanenza presso il Collegio di S. Cristina360, del suo carattere fermo e risoluto, soprattutto poi nella sua veste di rettore del Collegio per chierici casisti, direttamente sottoposto all’autorità episcopale.
Il 17 dicembre il vicario generale di Novara, monsignor Nicolò Leonardi, con una sua stringata missiva informava il rettore di S. Cristina che dopo le feste avrebbe potuto finalmente recarsi a Novara per conferire con il Vescovo che pareva si fosse ristabilito in salute361.
Il 31 dicembre Quagliotti ricevette invece – se n’è già accennato altrove per questioni diverse – una lettera da padre Ferrante Melzi che oltre a chiedergli un
sottomettono a quanto habbiamo negl’ordini”. Certo sarà forse possibile, continuava un più calmo e disponibile Quagliotti, “...dispensarvi quanto al coro, al servire in cucina” e questo solo perché “...queste cose dipendono dal mio volere”. “Del resto” proseguiva lamentandosi e nuovamente seccato Francesco “...se voglio far aver parcialitati, senz’altro che ne sarò ripreso”. Freddamente Quagliotti spiegava inoltre al cugino che “...quel poco di tempo che vi bisognarà rubbare per insegnar a questi quattro figliuoli [...] vi sarà di poco disturbo per li studij” stigmatizzando poi senza mezzi termini che “...Il promettervi facultà negl’Ordini, non lo posso fare senza peccar di simonia”: il nostro fine invece, rincarava Quagliotti “...sia di piacer a Dio et non d’acquistar gratia d’alcuno”. La lettera si chiude sbrigativamente con alcune disposizioni logistiche: “...Porterete con voi il matarazzo, il pagliarizzo et coperta con lenzoli... la camicia... la sarvietta et non altro”; a scanso di equivoci, trattando con il distratto cugino, Francesco non mancava di raccomandare subito dopo che “...la veste sia longa, et li vestiti di sotto, se è possibile, sieno neri”. Nelle ultime raccomandazioni poi, in veste di docente e sapendo che il cugino Gambaro possedeva “il Toleto” richiedeva solo che egli si presentasse con il minimo indispensabile di materiale didattico, cioè almeno “...con qualche libro divoto” mentre “... per li sermoni ne haverò io per voi”.
358 AONo, cart. 2, s.d. [ma senz’altro fine estate-primi d’autunno 1613]: “...Mi dolgo assai” inizia l’indispettito quanto deluso Quagliotti “...haver inteso dal Brustio come ancora non siete fatto subdiacono. Che per ciò io desidero parlarvi intorno questo particolare et trovar modo che possiate haver l’intento”. A tale scopo, benevolo e premuroso infine, nonostante traspaia una certa amarezza, Francesco prosegue sostenendo che “...Sarà dunque bene che una di queste poste veniste a trovarmi, che a bocca ho da trattar con voi di gran core per vostro bene”.
359 AONo, cart. 2, 20 novembre 1613: il Gambaro aveva infatti scritto al rettore di S. Cristina – che aveva probabilmente l’intenzione di aprire una scuoletta di latino per i fanciulli del villaggio - in termini spesso sgradevoli e in generale fin troppo disinvolti se non decisamente scorretti: “...Per risposta della sua [...] circa quello che mi vien pregato e da V.S. e dal Sig.r Vicario Generale, mi son deliberato, già che veggio la comodità e del studio et del guadagnarmi qualche cosa (come mi vien promesso) di compiacerla, con questo però: che io me intendo d’haver solo ad insegnar a quatro o tre figlioli et osservare le regole del Collegio in quello che io potrò, et non esser obligato a certe particolarità che così s’osservano essendo che io voglio venir a farli piacere et non a disgustarlo [...] del resto, io giudico che doppo quindici giorni in circa io sarò costì et intanto havrò a caro di haver una camera per me solo”. Non era certo questa una lettera da gentiluomo: l’aver sfacciatamente rammentato se non sollecitato un compenso ‘come mi vien promesso’ e il disegno di non voler ‘essere obligato’ se non occasionalmente a regole e consuetudini interne del collegio erano affermazioni che chiunque avrebbe reputato per poco garbate, specie se indirizzate a un sacerdote, teologo e rettore di un collegio ecclesiastico.
360 Nel dicembre di quell’anno il Gambaro in risposta alla missiva di Francesco del 26 novembre aveva scritto frettolosamente e con una certa degnazione a suo cugino, il rettore di S. Cristina: “...A questa sua ultima dovevo dargli risposta a bocca ma...” continua Gambaro, essendo prossime le feste natalizie e di fine d’anno e certo non volendo sembrare eccessivamente scortese “...sapendo che V.S. sa che il tempo vicino ricchiede il starsene a casa, io gli mando queste quatro righe ben mal scritte nelle quale vedrà l’animo che tengo di servire V.S. et il sig.r Gio. Batt.a”. Gambaro avvertiva il cugino che “...doppo queste feste io sarò costì benché” non mancando peraltro di rimarcare “...mi sia di molto discomodo per l’indispositione che mi ritrovo; però sia fatta la voluntà di Dio”. D’altro canto, spiegava anche che “...io non ho matarazzo ma solo piuma et questa porterò meco, con paliazzo etc.”. Passava poi alla disamina delle sue future mansioni in Collegio: “...delli offitij da fare costì so che V.S. havrà quel risguardo et più che io potessi desiderare” intanto però “...prego V.S. che mi lascia fermar questi quatro giorni affine che io mi rihabbia alquanto et preghi il Sig.r Idio acciò che possi far una bona mutatione con la quale io servisca et a Dio et dia bono essempio et gusto a chi mi può comandar a Dio”. Anche in questo caso una lettera dal taglio assai sgradevole e con uno stile ben poco cortese: cfr. AONo, cart. 2, 15 dicembre 1613.
361 AONo, cart. 3, 17 dicembre 1613.