Page 105 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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soprattutto agli esercizi ignaziani intrapresi332. Tra le molte riflessioni, tra le Riforme personali del nostro – che ne indica cause e rimedi – anche quelle che ci pare possano derivare dal clima non sereno in cui, se n’è già accennato, si trovava a dover vivere Francesco.
Eccone alcune particolarmente significative: 1) quando si è fuori, a diporto, le pericolose intemperanze di testa e di bocca; sintomatica è invece l’osservazione riguardo al fatto che 2) Collegio e chiesa procurano agitazione e che, ancora, 3) il Collegio non è ben governato perché si fanno troppe cose tutte insieme. Non manca un accenno, 4) all’umanissima irritazione (“exasperatio”) con i chierici-studenti per impazienza e poca carità. Interessante e curiosa l’osservazione, anch’essa tutta personale, che riguarda 5) l’“obscuritas” del senso delle lezioni dovuta probabilmente al fatto, secondo il rettore di S. Cristina, che sarebbero state troppo poco pensate e scritte troppo in fretta; di rilievo, e si avrà modo di riparlarne tra poco, 6) la discordia (“perturbatio”) con il parroco di S. Cristina – il Florio, uno dei canonici della Collegiata di Borgomanero – per lo “zelus immoderatus”, ovvero il rigore eccessivo dimostrato nei confronti del Collegio.
Seguono alcune indicazioni sull’ufficio divino, secondo Francesco non ben letto per scarsa preparazione (“praeparationis defectus”), sull’orazione mentale – uno dei cardini della preparazione dei chierici studenti – che per il teologo galliatese era complessivamente inutile perché, appena alzati, si era tutti ancora pigri e poco reattivi (“semidormiens”). Attento come sempre ai problemi concreti, Quagliotti riscontra altresì difetti sia nel cibo, che trova improprio e assunto frettolosamente, senza pensare allo spirito, sia nel sonno, che giudica irregolare e con orari che sarebbero forse stati da rivedere. L’ultima riflessione che merita delle riforme personali ed estensibili ai chierici è relativa alla durezza della povera vita di Collegio: una durezza solo apparente, ribadisce Francesco, che non è altro se non poca confidenza con la povertà vera.
Per emendarsi di tali difetti ecco proposti alcuni rimedi: al primo posto – ed è un dato per noi significativo – quello per il quale è auspicabile una maggior condiscendenza con i curati suoi colleghi accompagnata da una maggiore “confidenza santa” e da tratti di affabile, cordiale “amicitia” con i numerosi contadini del luogo.
Una minor severità quindi, che il rettore di S. Cristina si propose di osservare anche con i suoi allievi333 secondo modelli educativi che non dovevano riuscire sempre facili in quel tempo: sarebbe stato opportuno infatti che con loro si fosse comportato con “meno impatientia et minor gravità” secondo quelle linee di buon governo spirituale che prevedevano un controllo delle anime mosso da carità e
332 Anche se non solo a questo si dovette dedicare Francesco: è infatti di quel periodo il suo interessamento presso il vescovo affinché “...gl’huomini di Gajà” desiderosi di avere la possibilità di esporre nella chiesa parrocchiale le reliquie dei ss. martiri Caio e Fiora e sin’allora mai esauditi, fossero finalmente “...favoriti di questa gratia”; così Quagliotti scrisse a monsignore un apposito, breve memoriale pervenutoci sia in minuta, sia nella sua stesura definitiva e databile con qualche incertezza al 22 agosto 1613: cfr. AONo, cart. 2.
333 Una certa severità e un certo rigore, certo mitigati dall’estrema cordialità e umanità, a Quagliotti certo non mancarono: ricorda don Rasario che “...se havesse veduto qualche studente che havesse messo la bocca in piega da ridere o atto sospettoso, che subito pigliasse le sue cose et uscisse dal Collegio come persona indegna dell’abito chiericale”. In ogni modo, a parte qualche raro caso peraltro risolto, in Collegio “...non fu mai persona che gli desse disgusto, tanta era l’osservanza”: AONo, cart. 4, Frammenti cit.




























































































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