Page 106 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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benevolenza. Ma quello che doveva maggiormente dispiacere a Francesco era certo lo stillicidio di dissaporti con i canonici di Borgomanero e taluni religiosi dei dintorni.
“Disgusti” insomma, come li chiamava il più che mai provato rettore del Collegio di S. Cristina, fastidi che dovevano impensierirlo, demoralizzarlo, che richiedevano insomma una buona dose di sopportazione, di “patienza”334; amarezze dunque e frustrazioni e che possono trovarsi riflesse in alcune parole di quel quarto punto delle Cinque sorti d’amore, quell’amor penoso di cui Quagliotti spiegava i reconditi, cupi anfratti: “...amor amareggiato da’ fieli, da’ tedij, da tristezze et da agonie, e però è forte come la morte”.
Non è affatto improbabile che tra le righe il riferimento fosse a uno dei molti, troppi litigi con i canonici di Borgomanero: amarezze dunque, accompagnate da “fieli, tedij, tristezze et ...agonie” e forti “...come la morte”: un quadro assai fosco di cui ritroviamo sicura traccia in una lettera del rettore di Borgomanero, Marc’Antonio Caninio, che proprio in quei giorni, certo consapevole dei difficili rapporti tra la Collegiata di S. Bartolomeo e il Collegio di S. Cristina, e conscio sia delle proprie responsabilità, sia dell’evidente scontento del nostro così gli scrive: “...Non habbi riguardo a qualche disgusto datoli da me con parole, che presto in fatto resterà gustata piacendo al Signore più di quello che si contiene nel mio scritto, non ostante qualsivoglia contraditione, il che voglio fare senza publico instrumento ma con atto talmente efficace che servirà per mille publiche scritture”335. Francesco tuttavia seppe superare anche questi momenti di scoramento: al di là infatti dei futili attriti con i canonici di S. Bartolomeo, superabili e ben sopportati, ecco un nuovo scritto spirituale, un soliloquio mistico: Dell’Immedesimatione con Giesù.
Eccone il breve ma assai significativo testo giuntoci, se non in un manoscritto autentico, sicuramente di mano di un suo allievo, forse Giacomo Filippo Zanoja, già collaudato trascrittore di altri scritti del nostro, tra cui – lo vedremo – le lezioni sui casi di coscienza, argomento principe delle lezioni del rettore di S. Cristina ai suoi giovani chierici-studenti: “Entro per l’apertura delle sue piaghe e mi rimescolo col suo pretioso sangue e mi rimpasto con le sue divine carni. Trapasso dentro del Cuore et ivi ne’ più profundi seni della sua grand’anima talmente mi unisco co’ pensieri al suo intelletto che ne formo un solo intendimento, perché dentro che sono non vi trovo più nulla del mio, che si è perduto. M’inviscero nella sua voluntà con la mia e ne siegue la trasformatione già detta, perché non ho più mia voluntà. Così si fa della fantasia et dell’altre potenze, così de’ sensi; così di tutti i membri del corpo siché s’io parlo, parlo con la lingua di Giesù, o pur la lingua di Giesù parla nella mia bocca;
334 AONo, cart. 3, 20 luglio 1613, lettera di monsignor Leonardi a Quagliotti: “...Nel governar cotesto Collegio habbi patienza et perseveri nel far l’obedienza de Superiori, che così vogliono; che l’istesso faccio io nel far l’offitio che ho per le mani al quale mi conosco inattissimo e pure mi convien soffrirla con patienza per amor di Giesù per il quale siamo tenuti far quanto possiamo per servirLo”.
335 AONo, cart. 4, 12 agosto 1613. Utile forse ricordare che pochi mesi prima Quagliotti, sul ‘verso’ di un irreperito documento (è elencato nell’indice ma non c’è tra gli originali) scrisse alcuni appunti relativi alla stesura dell’atto con cui il rettore di Borgomanero avrebbe dovuto cedere al rettore del Collegio di S. Cristina il suo “...jus, cum omni onore et honore” sulla annessa chiesa; certamente un motivo in più per eventuali dissapori tra i due enti ecclesiastici: AONo, cart. 2, 10 giugno 1613 (in copia).