Page 104 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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Ma per quell’epoca il ragionamento spirituale di Quagliotti non bastava: proprio mentre ancora durava e per decenni avrebbe ancora infiammato gli animi lo scabroso dibattito sul libero o servo arbitrio accesosi in seguito al pensiero e agli scritti di Lutero, Francesco si soffermava a spiegare – da buon docente di teologia – che proprio “...questa distruttione o annientamento spirituale di voluntà non toglie però la libertà d’operare anzi la perfettione, perché questa trasformatione non è reale ma affettiva” restando invariata e del tutto integra “...la libertà dell’arbitrio che in quanto a sé può scostarsi da Dio sin che si vive, e sicome si può distrugger l’unione dell’amore quando restano due voluntà, così la libertà può ripigliarsi la propria che haveva perduta in Dio”.
Una precisazione che merita di essere posta in rilievo, come pure si deve sottolineare l’ulteriore specificazione che “la trasformatione è perfetta” solo se e quando “...l’huomo è morto al mondo et a se stesso”. Tornano quindi i concetti di annientamento, di annullamento di sé, già cari a tanta parte della spiritualità mistica seicentesca.
Tuttavia, continua rigoroso Francesco, l’uomo non giunge a tale sublime condizione se non “doppo haver uccise...” – un verbo durissimo e assai drastico questo, ‘uccidere’, ma che rende perfettamente l’idea di tale desiderata e radicale purificazione – “...l’altra turba delle passioni ect., a sacrificar ancora la voluntà et a restarne senza, nel qual caso sottentra quella di Dio a far gli ufficij”. È questo l’unico modo per far sì che si possa felicemente “trasformarsi con Dio et a poter dir con l’Apostolo [san Paolo]: ‘Vivo ego jam non ego vivit vero in me Christus’”.
Ma non basta ancora: Francesco va oltre e puntualizza che a quel punto supremo, unico, di immedesimazione con Gesù “...l’istesso amore non è più mio perché nasce su quel di Dio, e pur è mio più che mai, perché Dio stesso con ogni suo medesimo amore è tutto mio” pertanto l’acme è, per teologica conseguenza, che allora “...non c’è più né mio né Suo perché non c’è divisione e siam tutti due una sola voluntà, un sol cuore, un sol amore”.
“Dell’Immedesimatione con Giesù”
Un’estate particolare, quella del 1613; un’estate silenziosa e solitaria330, tra le vacanze dei suoi chierici-studenti, probabilmente ormai non pochi anche se non moltissimi per il Collegio borgomanerese331. Un’estate forse più delle precedenti dedicata alla ricerca di Dio, alla meditazione, alla preghiera, grazie anche e
330 L’essere silenzioso e solitario per Francesco non era un problema e tanto meno una sofferenza: era anzi nella sua natura e, per la costante pratica dell’orazione mentale, era quello che gli ci voleva e che in realtà avrebbe desiderato godere più di frequente. Del resto anche i suoi primissimi biografi erano consapevoli, avendolo conosciuto di persona, del fatto che ambiva e “...si dilettava della solitudine et ritiratezza”. Era poi molto cauto nel praticare con i secolari e soprattutto con le donne: “...Aborriva in particolare il praticare con donne et soleva dire che ne anco con le parenti i religiosi dovevano habitare”: AONo, cart. 4, Torelli, Memorie.
331 Forse, come suggerisce il più recente biografo del nostro senza purtroppo citare la fonte documentaria da cui desume i pur interessanti dati in suo possesso, i chierici avevano raggiunto le ventitré unità: cfr. Giovando, Il Servo di Dio Francesco Quagliotti cit., p. 92.