Page 85 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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qualche spirito di religione, se bene potrei ingannarmi; il che, quando per caso fosse, parmi di dirli quello anch’io che da se stesso havrà benissimo trattato nella mente sua, cioè che prius bene probes an spiritus ex Deo sit, perché dubito che il demonio vedendo il frutto che fa questo stato non tenti di ditraherlo sotto specie di miglior bene. Ho voluto dir queste parole quali intendo sijno ad honor et gloria di Dio, et per ciò voglio che le habbi per dette et non dette secondo gli sarà dettato dallo Spirito del Signore, dal quale gli prego il lume della santa gratia, quale li faccia conoscere il suo santo volere. Di novara...”294.
Egualmente a metà mese, Quagliotti rispondeva inquieto e tuttavia risoluto al vicario generale, monsignor Leonardi: “E’ vero che ho disegni molto diversi da quelli che si pensano alcuni. Ad ogni modo non è espediente mutar la strada quando non si trova maggior incontro. Il che sarebbe quando le cose di questa povera Casa non potessero sortire il suo ottimo fine, come io ne dubito assai se Monsignore non metterà la sua mano in questo negotio, quale, se non si potrà condurre in buon porto, converrà raccoglier et mutar vela et cercando il proprio bene, et chi si può salvar si salva. So che io sono inteso da V.S., alla quale per fine faccio riverenza raccomandandomi alle sue orationi”295.
Una lettera dura e assai chiara nella sua enigmaticità: in Francesco qualcosa era cambiato, pare evidente. L’orizzonte di S. Cristina, con i suoi miseri dissidi, con le ripicche e le rappresaglie dei canonici locali, con l’affanno per far quadrare i conti, con il dubbio di riuscire a sfamare i chierici studenti, nella tensione continua per reggere con dignità e decoro le sorti del Collegio affidatogli da Monsignor illustrissimo, con la grave responsabilità dell’insegnamento della dottrina cristiana e dei più complicati casi di coscienza... tutto questo era visto allora con occhi nuovi, con un palese distacco, nel desiderio bruciante di abbandonare i contrasti, gli intralci, le difficoltà.
Si stava facendo strada il desiderio di percorrere altre vie spirituali, forse più impervie e tortuose ma di maggior frutto per l’anima. Francesco, in altre parole, quando scriveva “...So che io sono inteso da V.S.” stava prospettando a se stesso forse, prima ancora che al vicario generale della diocesi, di essere giunto a un punto di arrivo e di ripartenza: ancora tra le righe infatti, si intuisce il desiderio di Quagliotti di staccarsi dalle beghe e dai fastidi di una vita sacerdotale che lui non intendeva in quel modo. Il teologo galliatese era allora attratto da una spiritualità più ascetica e meno caotica quale poteva essere quella vissuta tra le fila del clero regolare.
Proprio a tale scopo dovette probabilmente prendere contatto, in quel periodo, con padre Ferrante Melzi, della Casa gesuitica di Arona, aprendogli l’animo e sicuramente chiedendo consiglio e, forse, appoggio per poter svolgere riservatamente alcuni giorni di esercizi spirituali, esercizi che per l’Italia religiosa del tempo erano
294 AONo, cart. 3, 15 febbraio 1613 (in copia).
295 AONo, cart. 2, 15 febbraio 1613. Un’inquietudine che si riflette bene anche in una breve annotazione di suo pugno su uno dei fogli superstiti e assai malconci relativi agli esercizi spirituali di quell’anno si legge un’importante considerazione del nostro che, in certo senso, anticipa il contenuto delle riflessioni che porteranno alla lettera di Bellarmino del 1617: “Oratio maxime necessaria pro salutari vita statu eligendo”: cfr. AONo, cart. 3 (frammenti sparsi).