Page 184 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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provocare sempre più la divina bontà? Cessafratello, che te ne prego per quel vivo sangue che sparse per noi in croce Giesù Christo Signor nostro. Fratello, lascia di peccare perché io ti dico che mentre stai in peccato, di punto in punto, di momento in momento stai sempre per cascar nell’inferno. Guarda, meschino, se tu stessi n periculo di cascare con il corpo in un laco, nel mare o in un precipitio, o in bocca a qualche fiera, serpente o dragone, come staresti sull’avviso per non cadere... E dell’inferno pare che non te ne curi”.
Parole forti che non si fondavano solo, certo, sull’autorità delle Scritture ma che avevano un solido legame con la quotidianità, con le esperienze di vita di tutti i giorni, proprio per facilitare – con espressioni ed esempi chiari, pratici, utili, ben comprensibili, l’assimilazione piena dei non sempre facili concetti, delle enigmatiche metafore della parola divina. Quagliotti era di Galliate, veniva da un villaggio del Novarese, conosceva la sua gente e non amava prediche vane, troppo retoriche, ampollose, magari sofisticate ma troppo fifficili o, peggio, vuote e dunque inutili.
Per gli appunti delle sue prediche, che nei contenuti erano sempre equilibrate e adatte al pubblico di fedeli del Novarese, per lo più contadini, artigiani e sovente anche benestanti e signori, il teologo Quagliotti usava qualsiasi foglio o brandello di carta avesse a disposizione e, quasi certamente, senza badare a dove si trovava. È più che probabile che idee e riflessioni lo cogliessero mentre leggeva, o magari mentre camminava sui viottoli collinari che da S. Cristina conducevano a Borgomanero e altrove.
Stando alle testimonianze, tutte coincidenti nel descrivere il rettore come un uomo spesso assorto, silenzioso, totalmente assorbito dai suoi pensieri – che solo i più superficiali scambiavano per semplice distrazione, per sbadataggine – non è difficile immaginare che perfino a dorso di mulo o di cavallo il galliatese, oltre a perseverare nell’amatissima “oratione mentale”, elucubrasse e rimuginasse idee e propositi per sempre nuove ed appropriate omelie537. Rischiando addirittura di cadere nei torrenti...
Di certo, e le insofferenti reazioni di taluni fedeli in più occasioni lo dimostrano, le sue prediche non erano solo un approfondimento, un erudito commento dei passi scritturali previsti dalla liturgia quotidiana, anzi, riguardavano – come i casi di coscienza – questioni spesso delicate e talvolta particolarmente scabrose che tuttavia erano allora all’ordine del giorno538: la bestemmia e il
537 “Per strada, sempre andava meditando et i chierici <che> andavano con lui dicevano che per strada mai diceva cosa alcuna ma o dire l’offitio <della> corona, o meditatione”: così Rasario, Frammenti, in AONo, cart. 4.
538 E’ ben documentata in ogni tempo l’azione educativa ma anche repressiva e punitiva nei confronti dei blasfemi e bestemmiatori. Anche e soprattutto monsignor Bascapè, già a Milano collaborando con il cardinale Borromeo e successivamente a Novara, fedelissimo alla rigorosa normativa tridentina in materia, aveva appositamente accentuato la sua attenzione pastorale su questo grave peccato. Istruzioni si trovano non solo nella precettistica sinodale ma anche nei suoi scritti, scritti che per espresso desiderio del presule dovevano essere – va sottolineato – letti al popolo e se del caso impiegati quali idonei e provvidi strumenti educativi. In particolare, il riferimento all’istruzione per il clero dipendente a vigilare e, nel caso, a perseguire con durezza gli eventuali bestemmiatori: premettendo che bisognava ringraziare il Signore “...che l’horrendo vitio della bestemmia non regni più che tanto in questa nostra diocesi” tuttavia “...accioché si levi con l’aiuto divino dove si trova” sarebbe stato necessario che tutti gli ecclesiastici della diocesi facessero “ogni sforzo, in publico & in privato, di far capire a chi ne ha bisogno l’enormità di tal peccato”. Il presule ordinava dunque “...a’ Vicarij foranei che usino diligenza per fare processi contra questi tali & ce li mandino a fine, che siano castigati; & il medesimo ricordino agli officiali laici”. Tale obbligo era poi esteso anche ai confessori, ai quali raccomandava di