Page 178 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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voleva mischiare alle ore di lezione previste dalle severe norme del Collegio: “...Quando ragionava o discorreva con suoi chierici intorno al reggimento di cura d’anime [...] per farli capaci di tanto ministerio, era con tanto spirito et escandescenza che gli facea metter ben bene cervello a partito che alcuni dicevano non voler mai tal carico di cura d’anime, che più tosto s’accontentavano far il semplice capellano”522. Gli infiammati racconti del teologo e rettore dunque, dovevano spaventare non pochi tra i giovani chierici studenti di casistica destinati a diventare parroci o curati nei villaggi della diocesi.
D’altronde proprio a loro, agli allievi del collegio di S. Cristina, si guardava in Curia con fiducia e ammirazione – avendo “tant’huomo” per rettore – in quei frangenti drammatici. Proprio dei disciplinati casisti del Quagliotti si servì la Chiesa del Bascapè prima e del Taverna poi “...in grandissimo bisogno” nei giorni della paura, quelli della guerra, della fame e della peste, quando al loro posto morirono “...assai curati nelle terre vicine a’ confini del Piemonte” anche “...di morbo come contagioso”523. Vicini alla gente, sempre. Alla loro gente.
Una lettera dell’Alberganti “Indegnissimo prevosto d’Omegna” in poche parole ci offre, se ancora ce ne fosse bisogno, un quadro eloquente delle intense giornate del nostro: “...son più che sicuro delle sue continue occupationi, però la prego perdonar alla mia importunità”. Ecco una parola il cui significato era sicuramente ben noto al rettore di S. Cristina: “importunità”.
Proprio l’Alberganti, da Omegna, nella sua lunga lettera ne rammentava una, e non da poco, che aveva probabilmente a che fare con la difficile riscossione di entrate fin allora mancate alle casse episcopali, un “caso” spinoso che il cardinale, prima ancora di giungere in diocesi, aveva affidato al buon senso e alla “prudentia” di Quagliotti: “...quanto al caso che V.S. ha tolto in consulta, ho da dirli che l’Ill.mo sig.r Cardinale da Roma m’ha datto consolantissima risposta, con allegatione d’eccellentissimo theologo, con escusa dalla scommunica l’impositori di taglie, conform’a quanto dice V.S., ma conclude ch’hanno peccato mortalmente et che sono in obligo di restitutione; et anchor io tengo tal parere, et so maximamente che avanti detta imposta sono li moniti, et avertiti più volte, comminando ancho detta scommunica ad terrorem”524.
Don Giacomo Tacco invece, il 26 marzo lo invitò a raggiungerlo in parrocchia facendosi accompagnare dallo Zanoja (“...se così gli parerà”), un chierico devoto e abile che secondo lui avrebbe potuto occuparsi utilmente “...per la musica” nelle solenni, partecipate celebrazioni per “l’incoronatione della Mad[onn].a”525.
522 AONo, cart. 1, Vandoni, Annotazioni sopra la vita... cit., c. 26.
523 Ivi, c. 34.
524 AONo, cart. 2, 17 marzo 1616.
525 AONo, cart. 3, 26 marzo 1616. In realtà le lettere con quella data sono due ed entrambe hanno per argomento il viaggio di Francesco a Pallanza. Nella seconda però, don Giacomo pregava il rettore di S. Cristina affinché si interessasse presso il vicario generale per ottenere “la licenza in quel giorno et nelli antecedenti” di poter sciogliere quei “...casi reservati con la restrittione che si contiene nel libro di Mons.re R.mo a duoi confessori” giacché “ivi è l’indulgenza plenaria non solo per i Confratelli del Rosario ma per tutti in generale a fine che si faccia questa Incoronatione con quello maggior frutto sarà possibile per le anime, tanto più che quel giorno è il termine prefisso et perentorio di communicarsi per la Pasqua”.