Page 166 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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VI
1616. L’anno degli Oblati
Il “cardinale vescovo” Taverna e la “vigilanza et diligenza” di Quagliotti
Lo scorcio del 1615 trascorse come sempre in un’alternarsi di viaggi e permanenze in Collegio, tra lezioni di casistica e lunghe sedute al tavolino, con carta, penna e calamaio a portata di mano, per rispondere alla più varia corrispondenza493. Tra novembre e dicembre Francesco ebbe comunque modo di allontanarsi per circa diciassette giorni: non pochi tutto sommato, se si considerano le fatiche e i disagi patiti nei viaggi di ottobre. A Pallanza, Intra, Maggiate Fara in novembre, mentre il mese successivo le tappe furono a Cressa, Galliate, Novara, Momo, ancora Fara, “Grati”, tre giorni a Cameri, Romentino. Il 29 dicembre celebrava nuovamente a Galliate. In quell’ultimo bimestre però, si ebbe finalmente la notizia dell’avvenuta elezione non solo del nuovo vicario494 ma anche del successore di don Carlo Bascapè.
Il 16 novembre infatti, papa Paolo V creò Ferdinando Taverna, cinquantasettenne cardinale-prete del titolo di S. Eusebio, nuovo vescovo di Novara. Il 7 dicembre, ancora a Roma, nella cappella Sistina, il papa, coadiuvato nella solenne funzione liturgica dal cardinale Evangelista Paleotti consacrò ufficialmente il neo eletto vescovo che tuttavia non avrebbe lasciato Roma fino al giugno dell’anno successivo, il fatidico – per la Congregazione dei Padri Oblati – e decisivo 1616.
Sua Eminenza Taverna non era uno sprovveduto. Gli incarichi ricoperti e le gravose responsabilità di governo lo avevano reso assai prudente. D’altra parte, lo si sapeva anche a Novara, il nuovo presule proveniva da anni di esperienza amministrativa più che pastorale. Il cardinale sapeva trattare con gli uomini e, in quei tempi di estrema durezza, non gli erano mancati affanni, pene e disillusioni. Dal 30 aprile 1599 al 9 giugno 1604, data in cui fu creato cardinale nel concistoro
493 Avrà ad esempio dovuto rispondere, tra le altre, alla curiosa missiva di don Giovanni Alberganti, prevosto di Omegna, che il 3 novembre gli scriveva che “...haverìa a charo” che Francesco continuasse a pagare “...le dieci lire il mese per il pane et vino” cioè parte della retta per un giovane “poverino” che don Giovanni avrebbe cercato di “haverlo da casa” con la minor spesa possibile. Don Giovanni lo informava inoltre che era “...poi andato a ritrvare la signora Francesca Martia, vidua, anchora alquanto indisposta, come V.S. comanda”. Una visita dettata, oltre che dall’umana pietà, anche dall’interesse, perché il prevosto di Omegna così ragguagliava il nostro: “...però per adesso non l’ho potuta spontare di fare quel rilasso: ha allegato il pocho raccolto fatto per la tempesta, la sua indispositione che bisogna spendere assai, et li grandi carichi camerali”. L’inadempiente e malaticcia vedova aveva tuttavia promesso all’Alberganti – che si era attivato dietro “comando” del Quagliotti - “...se verrà in prosperità” di “voler essere officiosa et amorevole”. La lettera è interessante anche perche don Giovanni anticipa al Quagliotti di aver “...parlato ancho con il chierico Zanoia, qual di nuovo m’ha assicurato di voler venire a cotesto honoratissimo Colleggio con dimostrarsi prontissimo di servire a V.S. in tutte l’occasioni” però “...sarà bisogno escusarlo per il presente mese atteso che Monsignore R.mo mio signore, che sia in gloria, me l’ha assignato per compagno nelle visite fatte et ch’ho da fare per l’Ossula, havendolo fatto notaro apostolico”. L’Alberganti assicurava infine “...V.S. che si cava notabilissimo frutto da queste benedette visite che si fanno per servitio del culto d’Iddio come anchora delle povere anime, che con ogni confidenza ricorrono alla s.ta penitenza. Vado sermoneggiando al meglio che posso”: AONo, cart. 2, 3 novembre 1615.
494 Al Tornielli, Quagliotti avrebbe scritto per ottenere l’autorizzazione al taglio di un rovere che sarebbe dovuto servire per la “fabrica” attiva a S. Cristina: cfr. AONo, cart. 2, 20 dicembre 1615. poco meno di un mese prima Francesco aveva scritto anche all’amico notaio Girolamo Torelli per fargli riavere “una limosina” che questi gli aveva inviato, in quanto allora “non necessaria”: AONo, cart. 2, 22 novembre 1615.



























































































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