Page 126 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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ormai alcuni anni prima, nel 1607, evidentemente – allora come oggi – c’erano stati dei problemi amministrativi, di cui attualmente non ci restano tracce, che non gli avevano consentito di avere un “...riconoscimento ufficiale”, per dirla con il Lilla, quel fatidico ‘pezzo di carta’ che ancora oggi è agognato e inseguito talvolta con affanno da non pochi studenti nella speranza possa essere d’aiuto in campo lavorativo.
Un teologo tra i “...tumulti di guerra”
Nel caso del rettore di S. Cristina, che da ben cinque anni insegnava con gran profitto teologia morale e casistica ai suoi chierici studenti, si trattava certo di una formalità che, pure, ci offre uno spunto in più per inquadrare meglio la figura di un Quagliotti studioso, di un docente appassionato e, particolare importante, aggiornato riguardo ai serrati, ardenti dibattiti dottrinali e teologici del suo tempo.
Non si deve dimenticare che era allora in fase di piena attuazione l’immane complesso di norme conciliari tridentine, che in tutta Europa fervevano accesi confronti sulle più disparate minuzie nelle spinose questioni tra cattolici e protestanti a cui si erano aggiunte, recentissime e in drammatico crescendo, le feroci polemiche che avevano portato all’interdetto della Serenissima Repubblica di Venezia da parte della corte di Roma. Al pubblico, vivace argomentare teologico si era affiancato ed anzi strettamente unito in un complicato intreccio il via via sempre più aspro scontro tra le diplomazie delle corti europee.
Ai più vari livelli, ambasciatori regi e imperiali, oratori e residenti delle corti minori italiane e dei principi elettori tedeschi, laici ed ecclesiatici, filocattolici e filoprotestanti, informatori e spie agivano su più fronti e soprattutto in un teatro politico, quello italiano, sempre più caratterizzato dalle divisioni e da aree, assai contese, di incalcolabile importanza strategica per il predominio internazionale.
Manovre politiche dunque, e purtroppo anche militari erano proprio in quei mesi in atto per raggiungere nuove, insperate, utili alleanze e per mutare uno scenario politico – quello del Monferrato – da anni oggetto delle brame sabaude e dunque, di riflesso, delle attenzioni spagnole e francesi. Il possesso del Monferrato era stato oggetto di annosi contrasti diplomatici tra le corti dei Gonzaga di Mantova e dei Savoia. Nel 1612, la morte prematura di Francesco Gonzaga, duca di Mantova e del Monferrato che lasciava vedova Margherita di Savoia, aprì un aspro contenzioso dai toni sempre più forti e con risonanze nelle principali corti europee. Nonostante i diritti vantati con ragione dai principali rappresentanti della dinastia gonzaghesca le smodate ambizioni del duca Carlo Emanuele I di Savoia verso territori di rilevante interesse strategico ed economico diedero origine a una pericolosa reazione a catena.
Il nuovo duca di Mantova, Ferdinando Gonzaga, si era tuttavia irrigidito alle continue pressioni della corte sabauda presso la quale nel frattempo era tornata la duchessa Margherita, vedova di Francesco Gonzaga: la dama era stata costretta a lasciare nella piccola corte padana, quale prezioso ostaggio, la figlioletta Maria: lei sì, legittima erede del ducato monferrino. L’imbarazzo e la costernazione della Spagna,




























































































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