Page 129 - AIUTARE LE ANIME ET IL GOVERNO EPISCOPALE
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Un pericolo in più dunque, questo, per i sacerdoti della diocesi novarese, e talvolta ben più temibile della violenza fisica: non si paventava infatti solo l’insidia del pugnale o della spada; non si tremava soltanto per quella, subdola e invincibile, del diffondersi rapido e incontenibile di “febri maligne”, cioè di quelle spaventose epidemie di tifo, di colera o di peste, quanto, invece, spaventava il pericolosissimo contatto, visivo e auditivo, con le parole.
Era quello il veleno, quello il nemico peggiore e più temuto: l’eresia nelle parole, nelle idee, nel contenuto spesso dissimulato e sepolto tra le pagine di un apparentemente innocuo e compatto volumetto che nelle mani sbagliate, con o senza dolo, avrebbe potuto diffondere riflessioni e concetti “pestiferi” promovendo e radicando il “morbo” luterano o forse quello calvinista, o di chissà quali altre sette, tra gli ingenui, incolti, creduli popolani, così come tra i più raffinati e smaliziati aristocratici del Novarese invaso: una vera guerra nella guerra.
Una forte tensione dunque, che non mancò di pervadere anche e soprattutto i preti di zone rurali che si sperava rimanessero defilate dalle tragiche brutalità della guerra e che invece ne vennero ampiamente interessati.
Quagliotti stesso, dal settembre di quel movimentato 1614, dovette constatare la drammaticità della situazione nella brumosa solitudine dei colli borgomaneresi: tornato infatti, come si è detto, agli inizi del mese dagli esercizi spirituali aronesi aveva amaramente dovuto constatare che ormai migliaia di armati al soldo della Spagna erano accampati tanto nel Verbano - e una lettera del curato di Pallanza, don Giacomo Tacco ne testimonia la pericolosa presenza a metà settembre, quando raccontava a Francesco di non aver potuto fare una processione a causa del maltempo e soprattutto per “...la venuta de soldati in questa terra et tumulti di guerra”412 – quanto nelle campagne e sui colli prossimi a S. Cristina e direttamente a Borgomanero.
Addirittura, testimonia l’amico don Gaspare Vandoni413, era capitato che in autunno Quagliotti “...in tempo di guerra tra Savoia e Mantova” proprio quando “erano alloggiati in Borgomanero <dei> soldati” aveva organizzato una processione414 durante la quale, “secondo l’usanza, doppo pranzo si va alla chiesa tutti insieme al clero et poi, fatta l’oratione, ogn’uno va colla pace del Signore”.
Ma una volta giunti in devoto corteo alla parrocchiale, al momento di entrare nella collegiata di S. Bartolomeo un costrenato Quagliotti trovò, tra lo sconcerto e il timoroso disappunto dei fedeli che lo seguivano, che molti soldati dormivano “...così, alla peggio” direttamente nello spazio consacrato constatando inoltre che non pochi, al sopraggiungere del popolo salmodiante, si erano “...svegliati cianciando”.
Il momento dovette risultare per molti aspetti tragicomico: Quagliotti e altri sacerdoti, certo avvolti nei loro paramenti liturgici, seguiti da un discreto numero di
412 AONo, cart. 4, 15 settembre 1614.
413 AONo, cart. 1.
414 Sull’importanza di tale manifestazione religiosa e spesso solenne, con valenze non di rado politiche ed evidenti implicazioni di ordine e di sanità pubblici si veda in generale, per epoca e – sia pure in un senso più ampio – territorio, A. Dallaj, Le processioni a Milano nella Controriforma, in “Studi storici” 23 (1982), p. 167 ss. e A. Turchini, Il governo della festa nella Milano spagnola di Carlo Borromeo, in La scena della gloria cit., p. 509 ss.

























































































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