Page 14 - Il Sacro Monte di Varallo
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Di animo profondamente caritatevole nel 1851 donò al comune di Confienza parte dei possedimenti che là aveva, per istituire un’Opera Pia. Nel suo testa- mento legò somme per allora assai cospicue per gli alunni poveri delle scuole di disegno e di scultura di Varallo, per gli emigranti delle valli Sermenza e Mastal- lone ed inoltre elargì un notevole capitale all’Ospedale di Varallo ed un altro munifico lascito al Sacro Monte.
Questo venne impiegato in parte per provvedere a restauri e rifacimenti di affreschi in alcune cappelle, in parte per erigere i due monumenti in rame dei Caimi e del Ferrari, che poterono essere innalzati solo quattordici anni dopo la morte del donatore per opera dello scultore Pietro Zucchi.
Varallo già vantava dal 1862 il monumento a Vittorio Emanuele II, scolpito da Giuseppe Antonini; sarebbe poi sorto attraverso tante difficoltà nel 1874 quello pregevolissimo di Gaudenzio Ferrari presso la Madonna delle Grazie per opera del Della Vedova e, sempre ancora nell’Ottocento, quello del generale Antonini sul ponte del Mastallone.
Ma forse l’opinione pubblica locale avrebbe preferito che l’elargizione del Ca- relli fosse stata devoluta per erigere la facciata del tempio maggiore che allora ancora attendeva di essere costruita secondo il progetto neoclassico del conte Gagnola. Forse si pensava che l’erezione del monumento al Ferrari sul Sacro Monte rendeva ancor più difficile l’iniziativa di innalzare quello sulla piazza vi- cino alle Grazie per il quale non si riusciva a trovare i fondi. Forse ancora dispia- ceva che a modellare le due statue in rame fosse stato chiamato uno scultore non valsesiano, come pure stava avvenendo proprio nel ‘66 per un altro monumento al Ferrari, quello di Valduggia, opera dell’Argenti, di cui quello del Sacro Monte appare quasi una replica con poche varianti, mentre la Valsesia poteva offrire scultori allora di grande prestigio come l’Albertoni, o di un certo valore, ossia Giuseppe Antonini, e Costantino Barone, mentre iniziava la sua carriera il Del- la Vedova. Fatto sta che i due severi monumenti non piacquero, anzi, vennero molto criticati. Basti leggere la violenta stroncatura del Tonetti nella sua guida della Valsesia del 1891 in cui li definisce «due brutte statue di rame ... le quali li deturpano, anziché essere di ornamento...».
Anni dopo il canonico Romerio ancora scriverà, con tono più pacato, sul Bol- lettino del Sacro Monte del 1909: «Su queste statue molto si scrisse censurando a ragione la poco felice riuscita del lavoro. A dire il vero ... si sarebbe dovuto trovare di meglio per un lavoro che nella mente del generoso benefattore doveva
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